I vitigni
Nerello Mascalese
Menzionato per la prima volta nel Diciottesimo secolo, il Nerello Mascalese è la varietà più diffusa dell’areale etneo. Prende il nome dalla piana di Mascali – piccolo comune alle falde dell’Etna, sul lato Est – e chiaramente dal colore scuro della sua bacca, il nero. In dialetto locale, infatti, è detto Niureddu Mascalisi.
Alcuni studi ampelografici hanno supposto una possibile origine policlonale di questa varietà, ma risulta più verosimile che in alcuni vecchi vigneti intorno all’Etna siano presenti piccole quote di altri vitigni a bacca rossa, che poi andavano a contribuire in piccola misura alla resa a vino del raccolto. La sua vigoria e la qualità finale del raccolto sono particolarmente condizionati dal metodo di allevamento e dalle pratiche di coltura, dalle condizioni climatiche dell’annata, oltre che delle varie zone di coltivazione (i versanti e le relative contrade). È pacificamente riconosciuto che il Mascalese trovi il suo habitat più congeniale sul versante Nord della Muntagna.
Il sistema di allevamento tradizionale del Nerello Mascalese come di ogni altra varietà coltivata intorno all’Etna è quello ad alberello, con densità di viti per ettaro che possono raggiungere le 9.000 unità per ettaro.
Gli acini di Nerello Mascalese provenienti da viti allevate ad alberello hanno solitamente un peso minore rispetto a quelli da viti allevate a controspalliera, e negli acini più piccoli vi è una maggiore concentrazione di sostanze estrattive e di fatto una più alta qualità organolettica.
Nel suo habitat naturale, il versante Nord, il Mascalese produce vini rossi luminosi, brillanti nelle sfumature e profumati all’olfatto, che risultano tanto gratificanti per il neofita quanto per l’esperto per via della loro complessa facilità di beva.
Il Nerello Mascalese, come poche altre varietà al mondo, ha la straordinaria capacità di leggere e rendere nel vino le sfumature più microscopiche del proprio territorio, divenendo un perfetto strumento di proiezione dello stesso.
Carricante
Il varietale bianco simbolo della tradizione etnea è certamente il Carricante, che deve il suo nome alla proverbiale capacità di dare costantemente una buona quantità (carica) di raccolto. Detto anche Carricanti o Catanese Bianco, è probabilmente originario dell’area di Viagrande, un comune che dal versante Sud-Est dell’Etna si estende in direzione di Catania, e che quindi oltre al clima di alta collina, beneficiava anche dell’influenza del mare Ionio.
La Sicilia è ricca di altre uve bianche di buona qualità organolettica, ma il Carricante ha caratteristiche del tutto uniche nel panorama enologico siciliano e italiano in generale.
Si tratta di un vitigno dal pH molto basso – spesso inferiore ai 3.0 – e dalla maturazione tardiva rispetto ad altre varietà a bacca bianca coltivate sull’isola-continente, con periodi di raccolta che cadono tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre. Avendo anche una spiccata acidità, gli antichi viticoltori etnei erano soliti attenuarla lasciando sulle fecce il vino ottenuto, fino all’arrivo della primavera e quindi all’avvio della fermentazione malolattica.
L’utilizzo di fusti di legno in fase di affinamento può altrimenti aiutare a smorzarne gli spigoli di acidità. Si tratta del varietale fondamentale dei vini DOC Etna Bianco (in percentuale non inferiore al 60%) ed Etna Bianco Superiore (in percentuale non inferiore all’80%).
Mai particolarmente alcolici né ridondanti, i vini da uve 100% Carricante sono verticali, attraversati da una fresca scia salmastra, e rilasciano profumi che spaziano dai lieviti nobili ad agrumi come arancia e pompelmo, dai semi d’anice alla crosta di pane, con possibili note di miele già dopo pochi anni di bottiglia.